Coscienza

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(Fil.) - È quell' avvertimento, più o meno chiaro, che ognuno ha della presenza in sè di un qualcosa in riferimento sia a stati od atti della persona stessa, sia ad oggetti del mondo esterno. Sinteticamente, "il sentire di sentire". Ma in filosofia si è andati ben oltre tale consapevolezza. Stoici e Neoplatonici intendevano la coscienza come "interiorità", colloquio dell'anima con sé stessa; da qui il concetto di uomo "saggio", che libero dagli interessi e dalle passioni mondane, cerca dentro di sé la verità e la conoscenza.

Per S.Agostino la Verità si trova solo distogliendosi dalla esperienza esteriore e cercando dentro di sé attraverso una meditazione devota. E per i Cristiani, la coscienza è intesa come la fonte immediata di una conoscenza certa dei principi che definiscono la rettitudine del volere. Kant definisce la coscienza come "voce interiore", in contrasto con le inclinazioni sensibili da cui siamo affetti; essa proclama a chiunque, nell'intimità del proprio animo, il valore assoluto della legge morale. Essa è accessibile a tutti gli uomini, indipendentemente dalle differenze intellettuali e culturali. Con Cartesio, la coscienza diventa "consapevolezza soggettiva", di sé e dei propri contenuti mentali. L'empirismo inglese considera la coscienza come insieme di "impressioni sensibili" e di "idee della ragione", concezione poi confutata dall'idealismo tedesco che, con Fichte, Schelling e Kant, non solo ripropongono la coscienza al centro dell'Io, anche se empirico, ma si spingono verso il Non-Io e poi verso l'Io Assoluto come "principio originario".

Per Hegel, la coscienza è lo spirito umano finché non sia realizzato come "sapere assoluto", ossia fino a quando si comporta come soggettività in opposizione all'oggettività, sia naturale che sociale. Per lui, la coscienza, definita in senso stretto, è la manifestazione dello spirito che si rivolge all'esteriorità naturale, al fine di conoscerla. Autocoscienza, invece, è la consapevolezza della propria superiorità rispetto alle cose sensibili ed alla vitalità pura e semplice. Nel XX secolo, la coscienza viene intesa soprattutto come consapevolezza di sé o di qualcosa cui essa si rivolge. La coscienza è sempre coscienza di qualcosa, ha necessariamente un oggetto quale termine di riferimento. Posizioni differenziate si troveranno poi nell' empirismo logico, nel comportamentismo e nella psicoanalisi, ma non è questo il luogo per una trattazione completa di queste posizioni.

Menzione particolare merita il concetto di coscienza infelice, che si trova nella "Fenomenologia dello Spirito" di Hegel. È uno stato di infelicità derivante dal fatto che la coscienza si sente "non essenziale" rispetto all'Assoluto e, pur volendo negarsi in esso, non vi riesce. Il tentativo di negazione (o di immersione) nell'Assoluto viene fatto in modi diversi : devozione sentimentale, misticismo, attività mondana come dovere verso Dio, mortificazione di sé ascetismo inattivo, ecc. L'insuccesso determina l'infelicità che sarà superata solo quando la coscienza ritroverà il divino nel mondo ed in sé, realizzando in tal modo l'unità con l'Assoluto.[1]


[...] Per l’insegnamento teosofico (in conformità con le filosofie orientali e la tradizione esoterica) è quella “radice di ogni cosa” che ciclicamente consente la manifestazione della “Realtà”. Nella “Monade” la coscienza è inscindibile dalla propria potenza [Shiva dalla propria Shakti]. La Chiave della Teosofia dice che “... come vi sono sette forze fondamentali in natura e sette piani di esistenza, vi sono sette stati di coscienza in cui l’uomo può vivere”. [2]


Si ricorda che il Glossario completo de La Dottrina Segreta è consultabile al sito della Società Teosofica Italiana.

Note

  1. Da Coscienza nel Glossario a cura di Michele Zappalà
  2. Pier Giorgio Parola, Glossario Teosofico. Raccolta di termini usati nella letteratura teosofica, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza, 2013, p. 23